La vittoria di Di Maio spacca il M5S, Fico prepara il contrattacco

Gli ortodossi, capeggiati dal presidente della Vigilanza Rai, non 'digeriscono' il voto delle primarie-farsa: “Non è il capo del Movimento”.

Luigi Di Maio se lo aspettava che la sua ‘incoronazione’ a candidato premier e nuovo capo politico del Movimento 5 Stelle avrebbe agitato un pezzo della base. Quello che non si aspettava, così come non se lo aspettavano nemmeno Davide Casaleggio e Beppe Grillo, è che i contestatori avrebbero avuto così tanto seguito.

Non erano abituati a sentirsi rintuzzare le decisioni calate dall’alto, ma la realtà è che il M5S è diventato un partito esattamente come tutti gli altri, con un vertice che prende le decisioni e uno zoccolo duro di militanti e attivisti che devono solo ratificare scelte prese altrove e poi comunicate sul blog del comico. Questa modalità di azione a lungo andare ha creato inevitabilmente fratture e divisioni, alcuni sono usciti per formare nuovi gruppi (vedi Altenativa libera), altri sono finiti direttamente ad altri partiti (Pd, Fratelli d’Italia e Forza Italia).

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Chi è rimasto, però, non vuol dire che ha accettato questo modus operandi. Anzi, qualcuno ha deciso di alzare la voce e far conoscere anche all’esterno che esiste un presidio di ‘disobbedienza’ all’interno. E ‘disobbedienza’ è il termine che più di tutti si attaglia al ‘leader’ in pectore di questa protesta, Roberto Fico, che ha alle spalle una formazione di sinistra ed è poco avvezzo ai diktat e alle decisioni imposte. Come quella di candidare, appunto, Luigi Di Maio come unico pezzo da 90 alle primarie del Movimento, contrapponendogli solo figure di poco appeal, semi-sconosciuti che non avrebbero intaccato la sua vittoria, annunciata ormai da mesi e caldeggiata proprio da quelli che hanno le chiavi del blog e del M5S in mano, il megafono Grillo e il patron della Casaleggio & Associati, dunque della piattaforma Rousseau (dove si svolgono tutte le consultazioni online, senza però certificazioni esterne), Davide Casaleggio.

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A Rimini, dove si è svolta la 3 giorni di Italia 5 Stelle, la kermesse del Movimento, Fico ha rinunciato a salire sul palco, lasciandolo solo ad un gruppo ristretto di parlamentari, europarlamentari e amministratori locali, e ovviamente a Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ma in riviera romagnola il presidente della Commissione di Vigilanza Rai c’era eccome, e ha fatto sentire la sua presenza alla ‘vecchia maniera’, con i famosi ‘a margine’ dati in pasto alla stampa.

Prima ha usato la carota, dicendo di essere andato “ad ascoltare Di Maio” e rifiutando “ogni strumentalizzazione, perché io non ho ‘gelato’ nessuno, tanto meno è messo in discussione il risultato delle votazione online che è pianamente legittimo”, ma poi ha tirato fuori il ‘bastone’ per colpire duro: “Il candidato premier non è il capo della vita generale del Movimento”. Una tregua che ha il sapore, invece, della ‘dichiarazione di guerra’.

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Al deputato grillino, più volte in dissenso con i vertici e la truppa più vicina al vertice, e di questo un esempio lampante è la sua posizione sull’immigrazione e la difesa delle Ong, non sono andate giù queste primarie interne, definite un po’ da tutti gli osservatori e commentatori come una sorta di ‘farsa’ per l’inconsistenza dei competitor di Di Maio, vincitore annunciato. Avrebbe voluto parteciparvi anche Fico, ma un lungo colloquio con Grillo in una stanza di hotel a Roma nel giorno della presentazione delle candidature, lo ha convinto a non presentarsi. Ma non certo a rinunciare alla sua ‘battaglia’ interna.

Sebbene i sondaggi dicano che il trend del Movimento 5 Stelle sia sempre lo stesso: primo partito con un range che va dal 27 al 30%, nel ventre caldo si sta creando uno schieramento di truppe di ortodossi contrapposte alla leadership che potrebbe anche nuocere in campagna elettorale. A Di Maio spetterà (almeno ufficialmente) il compito di sedare gli animi. Il problema, però, è che il cuore della protesta sia proprio la sua ‘incoronazione’ a capo del M5S.

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