Trenitalia vuole quotare in Borsa i Frecciarossa

Le Ferrovie dello Stato vogliono portare le Frecce in Borsa per essere protagonisti della nuova fase che il trasporto su rotaia vivrà in Europa, la nuova epoca delle …

Le Ferrovie dello Stato vogliono portare le Frecce in Borsa per essere protagonisti della nuova fase che il trasporto su rotaia vivrà in Europa, la nuova epoca delle liberalizzazioni ferroviarie. «La quotazione deve essere un mezzo, non un fine», dice l’amministratore delegato Renato Mazzoncini in un’intervista a La Stampa in cui spiega la strategia del Gruppo che ingloberà l’Anas, e anticipa i risultati del bilancio 2016 che oggi saranno approvati dal consiglio di amministrazione, con ricavi a 8,9 miliardi di euro e un utile netto record di 772 milioni di euro.

Mazzoncini guida il gruppo pubblico dal dicembre 2015 e descrive la trasformazione in atto, dal grande carrozzone a una società che sta sul mercato, dal vettore di trasporto alla società della mobilità. Bresciano, 48 anni, ingegnere elettrotecnico, Mazzoncini è prima un appassionato di trasporti e poi un manager. A Pasqua ha portato la famiglia in Sicilia e l’ha girata tutta su rotaia. «I miei figli sono abituati, viaggiamo da sempre in bici o in treno. Abbiamo trovato treni tutti in ordine, personale cortese e puntualità. È vero che sono pochi, è più facile gestire la puntualità se hai un treno all’ora».

Dica la verità, i capotreno sapevano che c’era lei a bordo.

«No, viaggiavo come mistery client, apposta. È però vero che in Sicilia c’è molto da fare sulla rete: la Palermo-Catania va migliorata, come la Palermo-Trapani, che in questo momento è chiusa».

Gli italiani che scelgono la vacanza in treno sono pochi oggi.

«Sì, ma ci sono parti del Paese che stanno fortemente cambiando. Ora quasi nessuno penserebbe di venire in macchina a Milano, Roma o Firenze. Ma lì la situazione è diversa: a Pasquetta la Circumetnea per fare il giro sull’Etna era chiusa, come tutte le domeniche e i festivi. La Sicilia ha sei milioni di abitanti e poco traffico, qualunque tipo di investimento sembra assurdo, ma il punto è che non si può ragionare così».

Come per la Torino-Lione o per il Terzo valico: molti sostengono che con il traffico attuale non ci sia bisogno di nuove opere. Insomma, nasce prima l’uovo o la gallina?

«La teoria è: siccome rispetto all’attuale Terzo valico siamo al 70% di capienza, è inutile fare una nuova linea quando non si riesce a saturare questa. Ma è una teoria totalmente assurda: oggi abbiamo il 7% di merci trasportate su rotaia e con gli obiettivi di Cop21 dobbiamo arrivare al 30% nel 2030, quindi bisogna aumentare del 500% le merci trasportate su rotaia. Oggi il traffico è limitato proprio perché il costo su quella tratta è assurdo, con dislivelli enormi treni piccoli e diseconomici. Quando ci sarà il nuovo Terzo valico i porti liguri riusciranno a decollare. Bisogna avere la capacità di guardare molto in là».

Come nasce il record dell’utile?

«È un risultato che somma il miglioramento di tutte le attività ordinarie con la valorizzazione dell’operazione di Grandi Stazioni. Oggi abbiamo una posizione finanziaria netta di meno di 6,7 miliardi, che visto l’Ebitda a 2,3 miliardi significa che se smettessimo di fare investimenti in tre anni abbiamo azzerato il debito. I importanti investimenti sui treni regionali che abbiamo messo in programma per i prossimi anni sono tutti autofinanziati. Tutte le attività oggi generano un utile, questo è un obbligo. Nel 1990 Fs aveva 230mila dipendenti, oggi siamo 70mila e gran parte di questo risultato è legato all’automazione della rete. Oggi il Gruppo è al vertice in Europa per redditività grazie a questo, e adesso ricominciamo a crescere. Finita questa ristrutturazione, diventiamo una grande azienda di mobilità integrata, ampliamo il perimetro e cresciamo. Per questo a marzo siamo 70.500, circa duemila in più rispetto all’anno scorso».

Sui regionali, che alcuni considerano un po’ la serie B dei treni, il problema sono i tempi?

«I primi nuovi treni sono in consegna a gennaio 2019. Di fatto ci vogliono due anni dagli ordini. In Italia la produzione di treni tra i due piani e i monopiani può raggiungere una decina di treni al mese, quindi per sostituire cinquecento treni ci servono cinquanta mesi».

Quanta parte del risultato è dovuta al lungo raggio?

«In ordine di importanza i due business che sono andati meglio sono la rete gestita da Rfi e i treni regionali, terza la lunga concorrenza. Il mito secondo cui noi vogliamo privatizzare solo la lunga percorrenza perché è il nostro fiore all’occhiello è falso, perché al momento quello che genera utili sono rete e treni regionali».

Questo succede perché l’alta velocità è un business nuovo?

«Succede perché sull’alta velocità c’è una forte concorrenza, c’è un margine più basso, e perché i treni regionali non sono ancora frenati dall’ammortamento degli investimenti. Abbiamo completato l’arrivo dei Frecciarossa 1000: sono costati un miliardo e mezzo, e il risultato economico delle Frecce è comunque positivo».

Come risponde a chi accusa le Fs di speculare, controllando sia la rete che il servizio?

«Non ha senso, la rete ha un utile in gran parte regolato, con livelli di remunerazione definiti dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti. Viviamo in un mercato completamente regolato, e da un lato abbiamo il regolatore che decide il tipo di remunerazione, dall’altra tutti questi soldi vengono investiti completamente».

Ferrovie andrà in Borsa?

«La quotazione deve essere un mezzo, non un fine. L’unico business che possa beneficiare di una quotazione è quello della lunga concorrenza, perché è l’unico che lavora in un mercato totalmente liberalizzato, direi il più liberalizzato al mondo. Non ha contributi pubblici ma ha anche la competizione. Ci troviamo a competere con soggetti come Ntv, ma domani ce ne saranno sicuramente altri, che hanno a disposizione tutte le leve, e su qualunque mercato una quota di flottante è uno degli strumenti utilizzati per ricevere capitali da investire, stabilizzare i costi finanziari, essere più indipendenti. Noi però oggi non abbiamo una società che fa solo quello: Trenitalia fa sia regionali che lunga percorrenza. Vogliamo avere la garanzia che dal punto di vista industriale separare le due attività vada bene, è uno studio che finiremo nei prossimi mesi. A quel punto dobbiamo fare l’operazione straordinaria di creazione della newco, bisogna dotarla del certificato di sicurezza ferroviaria, senza il quale l’impresa non può operare, e ci vogliono mesi. Così arriviamo ai primi mesi del 2018 ad avere pronta la società, e per la quotazione serve un decreto del governo».

Questa sarà la società che deve affrontare la concorrenza all’estero.

Sì, non c’è niente di più europeo. Con 1.500 chilometri infatti si può raggiungere a Palermo ma anche andare ad Amsterdam o Madrid».

Teme rinvii o veti sull’apertura della concorrenza nel 2020?

«Francamente no, penso che non ci saranno rinvii. L’attività di lobbying di chi ha cercato di bloccare il pacchetto è stata fortissima, penso ormai sia superata. Vedo che anche i grandi gruppi ferroviari europei stanno iniziando a pensare a cogliere le opportunità invece che frenare».

Quale parte di società sarà quotata?

«Oggi pensiamo al 30%, è una quota che potrebbe consentirci poi eventuali aumenti di capitale per finanziare operazioni specifiche. In generale, non è utile aprire un dibattito sulla quotazione ora, quando non abbiamo ancora la società e i tempi tecnici sono incomprimibili».

Così arriviamo al 2018, e non sappiamo con quale governo.

«È chiaro e giusto che un’operazione così importante sia fatta da un governo robusto, in carica».

Cosa significa l’integrazione con Anas?

«Credo molto in questa integrazione. In Italia uno dei problemi infrastrutturali che abbiamo è dovuto alla scarsa pianificazione e allo scarso coordinamento tra ferrovia e strada. Il futuro che immagino ci porterà a elettrificare le strade, con tir ibridi e pantografo. Siamo andati a vedere il lavoro che fanno in Svezia, che è già molto avanti. In Italia abbiamo 25mila chilometri di binari e 180mila chilometri di strade: non è pensabile convertire tutta la rete in ferrovie, ma abbiamo davanti due grandi obiettivi, elettrificazione e autopilota. In futuro si viaggerà con un mix tra segnalazioni a terra e tecnologia satellitare. I Paesi che per primi che partiranno con le installazioni di questi sistemi faranno molta strada».

Come sta l’azienda Anas?

«È in via di risanamento, Gianni Armani ha lavorato molto bene. Ha una grande difficoltà di realizzare infrastrutture perché è nel perimetro della pubblica amministrazione».

Questo cambierà?

«Assolutamente sì. Le Fs emettono già bond, siamo fuori dalle norme Madia e Anas sta definendo un nuovo contratto di servizio con il Ministero delle Infrastrutture, molto simile a quello di Rfi che è basato sull’effettivo servizio erogato. Spero per la fine di maggio sia chiuso il contratto di servizio, l’abbiamo posta come condizione. Verrà fatta una perizia sul contenzioso in Anas per non portare perdite in Ferrovie, e a quel punto si farà il trasferimento, conto già quest’anno».

Che idea si è fatto della soluzione per Alitalia? Voi vi occupate di mobilità: avete studiato se c’era spazio per lavorare assieme?

«Abbiamo da sempre accordi commerciali, cerchiamo di migliorare l’integrazione. Stiamo lavorando a una piattaforma digitale dove integrare tutti i mezzi di trasporto e proporremo anche ad Alitalia di partecipare a questa piattaforma. Dal punto di vista industriale non ho gli elementi per poter fare una valutazione. La situazione è costantemente difficile, ma mi sembra di capire che con Etihad siano riusciti a trovare un partner serio che ha voglia di continuare a investire».

Quando sarà pronta la vostra piattaforma e conferma che ci sarà anche la concorrenza?

«Contiamo di avere una release funzionante per novembre. Scommettiamo che nel momento in cui realizziamo una piattaforma così performante questa possa sostituire per molti clienti le app dei singoli operatori. Nell’app ci sarà anche la concorrenza, tutti quelli che vorranno aderire all’accordo commerciale».

Professionalmente lei è nato con la Tav. È passata la fase dell’avversità alla Tav perché gli utenti hanno iniziato a usarla?

«In generale l’avversità alle grandi opere è un fenomeno che c’è ovunque al mondo. Forse ai tempi ci fu un errore di comunicazione. Nel 1995 stavo lavorando sul passaggio dai tremila Volt in corrente continua ai 25mila in corrente alternata necessario per la nuova rete, e mi chiedevo, alla luce delle opposizioni fortissime, perché l’avessimo sempre chiamata “alta velocità”. Forse ha dato un po’ fastidio al cittadino medio che vedeva il treno regionale che andava piano e immaginava questo enorme divario. Se fosse stata chiamata “alta capacità” forse dal punto di vista comunicativo ci saremmo risparmiati un po’ di mal di pancia. Forse si voleva arrivare alla pancia degli italiani, farli sentire di nuovo primi del mondo su qualcosa, ma la maggior parte degli italiani erano fuori dalla rete ad alta velocità. Oggi stiamo creando un’alta capacità, potenziando la rete ferroviaria per far viaggiare più traffico e più treni. Bisogna ancora aumentare le capacità della rete ferroviaria in maniera enorme».

Cambiano i trasporti e i pendolari viaggiano sull’alta velocità, anche se sui prezzi non si trova un accordo che soddisfi tutti. Qual è il problema?

«Alcuni treni, soprattutto al mattino, sono al 92% occupati da pendolari sulla Torino-Milano o sulla Napoli-Roma. Le tariffe con cui questi pendolari viaggiano sono scontate dell’80%: se hai un treno così, quel treno è in perdita, e questa è la ragione per cui Ntv ha tolto gli abbonamenti. Noi viaggiamo in un mercato liberalizzato e se il treno non sta in piedi è un problema, non c’è nessuno che lo paga. Abbiamo ritenuto di aumentare gli abbonamenti che per tanti anni, tranne sulla Milano-Torino, non erano toccati dal 2011. Mi rendo conto che un aumento del 35% sia stato vissuto molto male, però ci è dispiaciuto in quel caso che tra i politici che hanno cercato di intervenire in Parlamento per farci tornare indietro nessuno abbia pensato di fare interventi anche su Ntv. Così non è sportivo. Alla fine abbiamo trovato un compromesso per il momento per noi accettabile, abbiamo ridotto gli aumenti del 50%, e ci siamo detti con il ministro Delrio, che ha seguito questo problema, che bisogna affrontare questa tematica. Si potrebbe anche pensare a treni dedicati ai pendolari sulla linea ad alta velocità. Oggi c’è un fondo nazionale dei trasporti di 4,9 miliardi che finanzia di fatto il trasporto sui treni locali. Non si capisce perché se esiste un certo numero di pendolari che non sono molti, saranno diecimila in Italia, non possano essere in parte sovvenzionati anche questi».

Le Frecce possono viaggiare ancora più veloci? Roma-Milano si farà in due ore e venti?

Sì, abbiamo ottenuto l’omologazione del Frecciarossa 1000 per andare a 350 chilometri orari. Ora serve l’omologazione della linea».

Anche Milano e Torino saranno più vicine?

«Sì, certo. Non abbiamo ancora definito in quanto tempo. In generale su tutte le linee ad alta velcocità vogliamo tenere dei margini per la puntualità, ma si può andare più veloce».

Domanda finale e obbligatoria. Prima o poi funzionerà il wifi a bordo?

«Stiamo ragionando con tutti gli operatori per decidere chi farà gli investimenti lungo la linea, perché ci sono ampie zone in cui non c’è il segnale. Telecom Italia è disponibile a risolvere definitivamente la questione. Tecnicamente si può fare e lo faremo, il più velocemente possibile».

Fonte: La Stampa

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