Bce, il ritorno dei falchi tedeschi: tutti i rischi per i conti italiani

Draghi lascia l'1 novembre. In caso di crisi del debito, con Weidmann presidente, l’Italia e gli altri Pigs non riceveranno nessun aiuto.

Il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, in conferenza stampa a Parigi, ha evidenziato la situazione dell’Italia tra i “rischi politici” all’orizzonte in Europa. “L’Italia – ha detto – si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso. Quale maggioranza – si è chiesto – uscirà dal voto?” di marzo. “Quale programma, quale impegno europeo? In un contesto in cui la situazione economica dell’Italia non è certamente la migliore al livello europeo, felice chi potrà dirlo…”.

Moscovici ha aggiunto che quello italiano è uno scrutinio che segue “da molto vicino”. “Oggi – ha spiegato – è difficile immaginare quale coalizione uscirà dal voto, con quali ambizioni europee, anche se con l’approssimarsi delle elezioni tutti i partiti rivedono il loro posizionamento rispetto all’euro”.

Riferendosi poi alla situazione economica in Europa, alla Grecia, alla Brexit e alla crisi migratoria, Moscovici ha detto: “Credo di poter dire che siamo usciti dall’era delle grandi crisi europee”. “L’Europa ha ripreso colore”, ha aggiunto, sottolineando che ormai la crescita europea supera il 2%, “più degli Stati Uniti”. “L’Europa – ha detto – può contare su una crescita solida e duratura”.

“Credo di poter dire – ha evidenziato – che siamo usciti dall’era delle grandi crisi europee”. “L’Europa ha ripreso colore”, ha aggiunto, sottolineando che ormai la crescita europea supera il 2%, “più degli Stati Uniti”. “L’Europa – ha detto – può contare su una crescita solida e duratura”.

“Possiamo avere fiducia nella ripresa dell’ Italia”, ha insistito, aggiungendo che diverse riforme sono state svolte e altre sono ancora da fare. Ma ha poi ribadito che il principale motivo di preoccupazione è “l’incertezza politica” per le elezioni del 4 marzo. (Ansa)

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Il 2018 sarà un anno decisivo per il futuro della Banca Centrale europea e quindi del nuovo assetto economico dell’area euro. Tre sono gli eventi principali che rischiano di scardinare il sistema creato da Mario Draghi a partire dagli anni della crisi economica fino ai nostri giorni.

Quest’anno termina il mandato di Mario Draghi

In primis vi sarà la fine del mandato dello stesso Draghi, formalmente prevista per il prossimo 31 ottobre. Mario Draghi è in carica come presidente della Banca Centrale europea dal 2011 e ha traghettato l’eurozona durante gli anni più difficili della crisi economica. In questo settennato l’ex governatore della Banca d’Italia ha creato un modello d’espansione monetaria insieme ad un ribasso dei tassi d’interesse che, in qualche modo, è riuscito a tenere assieme la già fragile struttura euro. Con la fine del mandato di Mario Draghi potrebbero dunque terminare anche questi due principi portati avanti dalla Bce.

È previsto per il prossimo settembre infatti il termine del Quantitative Easing, il programma di acquisto di titoli di Stato iniziato dalla Bce nel 2015. E insieme al QE potrebbe cominciare anche la corsa al rialzo dei tassi d’interesse. Se il primo dei tre fattori, la fine del mandato d Draghi, è inevitabile, gli altri due potrebbero in realtà non esserlo, anche se alcuni Paesi dell’euro-zona mettono una discreta pressione ai vertici di Francoforte.

“Rivedere la comunicazione sulla politica monetaria”

Lo scorso giovedì sono infatti usciti i verbali relativi all’ultimo incontro tra i vertici della Banca centrale europea, avvenuto lo scorso 13/14 dicembre. Dai documenti traspare dunque come i governatori delle banche centrali del nord Europa, in particolare la Germania, abbiano chiesto a Draghi di “rivedere la comunicazione sulla politica monetaria”. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, sarebbe stato il più attivo nel lanciare questo messaggio. Dichiarazioni che non contengono nulla di concreto, ma che possono servire al mercato finanziario per prepararsi al nuovo corso della politica economica europea.

E infatti, come riportato da Il Messaggero, subito dopo la pubblicazione dei verbali della riunione, l’indice del prezzo dei titoli di Stato è salito e l’euro si è rafforzato sul dollaro. Lo stesso Weidmann si è poi subito prodigato a minimizzare quanto emerso dal vertice dichiarando che “a proposito dei tassi della banca centrale nella zona euro, il rischio imminente di un cambiamento è per il momento ridotto”, quasi a voler tranquillizzare gli Stati del sud Europa.

Le conseguenze disastrose per il sud Europa

Sono infatti questi ultimi quelli che rischiano di più una volta che sarà terminata la presidenza Draghi e con essa il QE e il ribasso dei tassi d’interesse. Gli Stati cosiddetti mediterranei, tra cui l’Italia, sono quelli con un alto livello di debito pubblico. Si tratta dunque di economie che hanno bisogno di una politica monetaria espansiva in grado di garantire un acquisto di titoli di Stato così da non farne schizzare il tasso d’interesse alle stelle. La fine di Draghi e del QE potrebbe essere proprio il preludio di questo scenario. Le stime in Italia, in vista della fine del QE, sono di un rialzo di 3 miliardi di euro annui di spesa aggiuntiva sugli interessi, come riportato da il Messaggero.

Ciò significa che lo Stato italiano avrà bisogno di 3 miliardi in più dall’economia per far fronte al pagamento degli interessi. Quindi, o cresce il prodotto interno lordo del sistema italiano oppure si dovrà ricorrere all’aumento della tassazione sulla cittadinanza.

Weidmann non crede nella sostenibilità del sistema euro

La già paventata successione di Weidmann al vertice della Banca Centrale europea potrebbe poi acuire questo trend e creare un sistema più che svantaggioso per i Paesi del sud Europa. Weidmann ha già infatti più volte affermato di non credere alla sostenibilità del sistema euro, aggiungendo che “la creazione di fondi condivisi per affrontare le crisi nell’Eurozona avrebbe indebolito il principio di responsabilità individuale. In altre parole, avrebbe incentivato i Paesi più esposti all’indebitamento ad appoggiarsi sui partner finanziariamente più solidi”.

Cosa vuol dire? Semplicemente che in caso di crisi del debito, con Weidmann presidente, l’Italia e gli altri Pigs non riceveranno l’aiuto di nessuno. Eppure la Germania non avrebbe da lamentarsi rispetto agli effetti della presidenza Draghi. L’economia tedesca, sotto Draghi, è cresciuta del 10% (mentre quella italiana si è ridotta del 5%) e anche il debito tedesco si è ridotto di quasi 30 miliardi di euro. Nonostante questo la Germania aspetta al varco Draghi per rafforzare ancor di più la supremazia commerciale in Europa.

Fonte: Occhidellaguerra.it

Questo articolo non necessariamente rispecchia l’opinione di Italia.co, la cui linea editoriale è autonoma e indipendente.

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