Franceschini, Padoan, Calenda: la sfida nell’ipotesi di sconfitta e dopo-Renzi

Appena cinquantacinque giorni, tanti ne mancano al referendum costituzionale, e Matteo Renzi potrebbe essere costretto a subire il rito del campanellino – quello che sancisce il passaggio di …

Appena cinquantacinque giorni, tanti ne mancano al referendum costituzionale, e Matteo Renzi potrebbe essere costretto a subire il rito del campanellino – quello che sancisce il passaggio di consegne tra il presidente del Consiglio uscente e il subentrante – dopo averlo inflitto a Enrico Letta. E saranno pure soltanto retroscena, cose che «i giornalisti si divertono a scrivere», come ha detto ieri Dario Franceschini nell’intervista con Maria Latella. Ma nei palazzi romani c’è un nome fra tutti che si rincorre per un’ipotetica successione a Renzi in caso di vittoria del No. Quello, appunto del ministro della Cultura. Lo stesso Renzi, due giorni fa a Firenze, ha buttato lì una battuta davanti all’interessato. «Caro Dario, l’ultimo ferrarese che è passato di qui ha fatto una brutta fine, una finuccia…».

A Franceschini, che oltre a essere di Ferrara è anche un appassionato di storia, deve essere corso un brivido nella schiena pensando al dominicano Savonarola, arrostito in piazza della Signoria. Ma se le battute servono a stemperare una tensione, la realtà non cambia. Perché effettivamente se c’è qualcuno che può tenere unita l’attuale maggioranza e portarla a fine legislatura, mentre il Parlamento si impegna ad approvare una nuova legge elettorale, quello è Franceschini. Leader di Areadem, un correntone a cui fa riferimento la maggioranza dei parlamentari Pd e alla quale appartengono, tra l’altro, entrambi i capigruppo: Zanda e Rosato. Lo sa bene il premier quanto conti, visto che solo grazie a lui riuscì a far saltare il governo Letta. Vicino ai giovani turchi e alla sinistra di Orlando, Martina e Fassino, l’ex segretario Pd ha inoltre buoni rapporti con Forza Italia. Un tassello non secondario in vista di un post-referendum dove giocoforza saranno il Pd e Berlusconi a doversi mettere d’accordo. Ma soprattutto il ministro della Cultura gode della stima del capo dello Stato.

A rimettere in cima al mazzo la carta Franceschini è stato, forse involontariamente, un suo fedelissimo, il deputato Piero Martino. Che su Twitter ha ripubblicato, aggiungendo un commento positivo, un retroscena di Panorama sulle mosse che potrebbero portare il suo capo a soffiare la poltrona a Renzi. Ingenuità o mossa calcolata? Fatto sta che a Montecitorio nei capannelli dem venerdì si parlava solo di questo tweet. E il giorno dopo…zac! Ecco Renzi che fulmina il ministro con la battuta sul rogo di Savonarola.

Ma se davvero le cose dovessero andare storte per il premier, ci sono almeno altri due uomini pronti a entrare nella rosa del capo dello Stato. Il candidato naturale è Pier Carlo Padoan, per il suo standing internazionale e perché Mattarella dovrebbe come prima cosa rassicurare i mercati. Quello stesso Padoan che a Bloomberg, da Washington, ha promesso: «Continueremo a spingere sulle riforme anche se dovesse vincere il no». Renzi quando l’ha letta è sobbalzato: «Continueremo chi?». Sebbene più defilato un altro candidato s’intravede sullo sfondo. Il giovane Carlo Calenda, possibile premier di un governo che ancora spinga sulla crescita. Raccontano che lo sventurato se ne sia vantato di recente con la persona sbagliata, che immediatamente è corsa a spifferarlo al premier, mettendo Calenda in cattiva luce. Perché non bisogna dimenticare un dato fondamentale: il 5 dicembre forse Renzi non sarà più a palazzo Chigi, ma certamente resterà al Nazareno. E qualsiasi successore dovrà avere anche il suo imprimatur.

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Alle cinque della sera, davanti alla direzione del Pd, verrà formalizzata la separazione legale tra Matteo Renzi e la minoranza del partito in vista del referendum del 4 dicembre: sarà il primo atto di un possibile, clamoroso divorzio, tante volte annunciato, ma che una eventuale vittoria del Sì renderebbe concreto? Per ora una sola certezza: la opposizione interna – guidata da Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Gianni Cuperlo – ufficializzerà la decisione di votare “no”, al referendum: un comportamento elettorale clamoroso, anche perché capovolto rispetto alle indicazioni del partito e in contraddizione rispetto a come votarono in Parlamento molti degli esponenti della minoranza. La decisione è stata anticipata venerdì notte da Pier Luigi Bersani in un pubblico dibattito e in una intervista pubblicata ieri dal “Corriere della Sera”, dunque in anticipo con la attesa Direzione del Pd, convocata alle 17 di oggi per ascoltare la proposta di modifica della legge elettorale che avrebbe dovuto fare Matteo Renzi.

Questo anticipo rispetto alla liturgia ha consentito a Matteo Orfini, presidente del Pd, di infilzare l’ex segretario: «Non è scandaloso che Bersani voti No», ma sulle riforme «è sbagliato che invece di cercare fino alla fine una soluzione si lavori per la spaccatura». Ma la sostanza non cambia: oggi nulla vieta a Renzi di presentare la propria proposta di mediazione, provando a mettere in difficoltà la minoranza con proposte “ragionevoli”, come l’abolizione dei capolista bloccati. Ma lo farà? Oppure preferirà caricare il bazooka contro la propria minoranza, evidenziandone le contraddizioni? Ieri sera Renzi non aveva deciso quale privilegiare tra le due opzioni e all’ultimo momento potrebbe decidere per una sintesi.

Vicenda significativa, quella interna al Pd, perché la minoranza potrebbe trascinare sulla propria posizione una quota significativa dell’elettorato democratico (un quinto? Un quarto?), anche se la partita per la vittoria al referendum sembra destinata a giocarsi in un campo più vasto. E da questo punto di vista nelle ultime ore sono emerse due novità: da una parte la decisione di Renzi di personalizzare ancora di più la campagna referendaria, dall’altra l’emersione dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. liberato dal peso processuale, come possibile alfiere-portavoce del No.

La super-personalizzazione da parte del presidente del Consiglio è stata confermata con la decisione di accettare anche l’invito dell’”Arena”, il talk show della domenica su RaiUno, Incalzato dalle domande e dalle interruzioni di Massimo Giletti, che non ha voluto smentire il ruolo di intervistatore scomodo, il presidente del Consiglio ha lanciato due messaggi. Il primo: «Se vince il No, non cambia niente per il Paese. Continueremo con il Parlamento più costoso e più numeroso». Il secondo mirato contro la minoranza del Pd: «Nel partito è un anno e mezzo che mi danno contro, l’unico obiettivo è attaccarmi», «ma quando uno vota per antipatia mostra di avere scarsa visione per il Paese. Bersani ha votato sì tre volte a questa riforma. Ma se lui cambia idea per il referendum, ciascuno se ne farà una opinione». Altrettanto significativo il “ritorno” di Ignazio Marino. Intervistato da Lucia Annunziata su RaiTre, l’ex sindaco, oltre a picchiare duro su Renzi e i renziani, si è riproposto con un profilo «liberal», da alfiere dei diritti civili, da sostenitore tradito dei valori meritocratici del primo Renzi. Un profilo diverso da quello “comunista” della minoranza Pd e anche per questo più temibile. Come conferma la grandinata di richieste di partecipare ad iniziative, piovute su Marino da tutta Italia.

Fonte: La Stampa

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1 commento

  1.   

    no franceschini no. quasi quasi tifo renzi. PADOAN   sarebbe un tecnico..si fa per dire… e calenda chì è..  quello della canzone?  …quando CALENDA  il sol la sulla playa  siento  sto cuerpo vibrar in  cierca de ti……Ma perchè non chiamare…CANTONEEEEEEEE