La bomba ISIS sull’aereo russo nella lattina Schweppes

Una lattina di “Schweppes Gold” ammaccata, un detonatore ed un interruttore su sfondo blu: è la foto della bomba che ha fatto esplodere l’aereo russo sul Sinai lo …

Una lattina di “Schweppes Gold” ammaccata, un detonatore ed un interruttore su sfondo blu: è la foto della bomba che ha fatto esplodere l’aereo russo sul Sinai lo scorso 31 ottobre. A pubblicarla è “Dabiq”, il magazine online dello Stato Islamico (Isis) mantenendo la promessa fatta dal Califfo Abu Bakr al-Baghdadi di «rendere noto al momento opportuno come abbiamo fatto».

“Dabiq” dedica all’esplosione dell’aereo – costata la vita a 224 persone – ed agli attentati di Parigi – 130 le vittime – un numero ad hoc, intitolato “Just Terror”, solo terrorismo. Riguardo all’attentato nel Sinai, afferma che «all’inizio avevamo pensato di abbattere un aereo occidentale ma poi abbiamo cambiato obiettivo quando la Russia ha iniziato gli attacchi in Siria». Il magazine, strumento di propaganda del Califfato stampato in più lingue, pubblica anche delle foto di passaporti russi di vittime del volo esploso, affermando che sono state «scattate dai mujaheddin». Ovvero, sotto gli occhi degli investigatori egiziani e russi.

La bomba che ha causato l’esplosione era posta sotto il sedile di un passeggero, nei posti vicini alla coda dell’aereo, ha dichiarato una fonte ben informata all’agenzia Interfax, dopo le anticipazioni del quotidiano russo Kommersant, citando esperti dell’intelligence e dell’Aviazione vicine alle indagini sull’attentato, riconosciuto ieri dal Cremlino. Inizialmente si era parlato di un ordigno nella stiva mentre, secondo quanto rivela il giornale, la bomba è stata imbarcata proprio nella cabina passeggeri, sotto un sedile accanto al finestrino, nella parte posteriore. È stato «un attacco allo Stato» russo e «il diritto all’autodifesa sarà esercitato» da Mosca «con tutti i mezzi disponibili: politici, militari e sulla linea dei servizi speciali», ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov.

di Maurizio Molinari

Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da La Stampa

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