Pensioni, Inps rinnova le convenzioni senza gara: Poste e banche incassano e ringraziano

L’ente previdenziale italiano per far arrivare i soldi ai titolari dei trattamenti utilizza 30 istituti di credito e paga commissioni per 85 milioni l’anno. A marzo ha rinnovato …

L’ente previdenziale italiano per far arrivare i soldi ai titolari dei trattamenti utilizza 30 istituti di credito e paga commissioni per 85 milioni l’anno. A marzo ha rinnovato gli accordi triennali senza fare un bando.

La cosa funziona così. L’Inps per far arrivare a destinazione le sue 16,6 milioni di pensioni paga una commissione. A chi? Attualmente ai 30 soggetti con cui ha recentemente rinnovato un accordo che va avanti almeno dal 2009: si va da Poste, che serve da sola 6 milioni di pensionati, a quasi tutto il sistema bancario (in ordine di rilevanza sul tema Intesa, Unicredit, le Banche popolari, le Casse di risparmio, Mps e giù fino a Mediolanum e le redivive Etruria, Carife e Banca Marche).

Meno costi teorici, poi arrivano gli aumenti – Con determinazione del 31 marzo 2015, Inps ha rinnovato le 30 convenzioni per il servizio di pagamento delle pensioni chiedendo a banche e Poste – come prescrive la legge di Stabilità – di diminuire i costi: nel documento si autorizza la spesa di 253,4 milioni di euro per tre anni, all’ingrosso 85 milioni ogni 12 mesi, già inseriti nel bilancio. La torta vale 116 milioni per Poste Italiane, 30,7 per Intesa, 22,5 per Unicredit, 16,5 per il sistema delle Popolari, 9,7 milioni per Monte Paschi, 8 per Bnl fino ai 238mila euro della Cassa di Risparmio di San Miniato. Questo in via teorica. La determinazione Inps, ad esempio, prevede un costo unitario per gli accrediti sul conto corrente di 0,35 euro l’uno (il pagamento con assegni o in contanti è più oneroso): non tutte le banche però, a quanto risulta al Fatto Quotidiano, hanno accettato il taglio. Risultato: sono stati proposti aumenti fino a 48 centesimi e l’Inps ha detto sì.

Il caso più clamoroso è quello di Poste, azienda – sia detto en passant – alle prese con un complesso processo di privatizzazione. Nell’accordo aggiuntivo siglato a luglio con l’azienda guidata da Francesco Caio – firmato per Inps dal direttore delle Risorse strumentali Vincenzo Damato in sostituzione del presidente Tito Boeri – l’importo massimo del contratto passa da 116 milioni di euro a 150 milioni: 34 milioni in più concessi non si capisce sulla base di quale atto. Un aumento di costi del 30% che – esteso per pura ipotesi all’intero costo del servizio – comporterebbe un esborso totale di circa 330 milioni, cioè 75 in più di quanto messo a bilancio.

Il Bengodi fino al 2009 e l’offerta di Bankitalia – Fino al 2009 Inps si affidava, per pagare le pensioni, a convenzioni con le banche in cui i pensionati avevano il conto o alle Poste. Secondo un documento interno, il giochino costava oltre 200 milioni l’anno. Nel 2009, però, arriva l’offerta di Banca d’Italia: possiamo gestire il servizio a 6 centesimi di euro ad assegno, cioè un decimo di quel che veniva pagato all’epoca. Inps, però, non accetta: Bankitalia, infatti, non garantiva i servizi aggiuntivi, su tutti il recupero delle somme erogate dopo la morte del pensionato. Questo, secondo i vertici dell’ente previdenziale, avrebbe causato alla fine un maggior costo invece che un risparmio. Si decise allora – era l’agosto 2009 – di autorizzare 55 procedure negoziate per un periodo di 16 mesi (fino al 31 dicembre 2010) dal valore di 220 milioni totali. Non c’è bisogno di fare una gara d’appalto, disse Inps, perché istituti bancari e Poste sono “gli unici interlocutori contrattuali” possibili e vanno considerati come “fornitore unico”: andiamo avanti con la trattativa diretta. Trasformati 55 soggetti in un unico fornitore, si provvide – contrariamente alle indicazioni dello stesso Coordinamento legale dell’Inps – ad allungare la durata dei contratti (fino al 31 dicembre 2011) stipulando in tutto 32 convenzioni. Così, di proroga in rinnovo, siamo giunti ai 30 soggetti che ancora lavorano con l’istituto.

La cosa curiosa di questi accordi è che, fino al 31 maggio scorso, il prezzo del servizio variava in base a variabili sconosciute. Poste, per dire, incassava 0,65 euro per l’accredito sul conto corrente e 1,94 per i pagamenti in contanti; Intesa 0,44 e 1,75; Unicredit 0,39 e 1 euro; Mps 0,53 e 1,25; il Credito Valtellinese 0,55 e 1,40 euro. A ciascuno il suo, come voleva il diritto romano, ma non proprio un modo razionale di procedere. Nel 2014, il tutto valeva 125 milioni, oltre 70 dei quali erano per Poste.

Le critiche dei sindaci: ”Iter tortuoso e illogico” – I vertici Inps – come dimostrano le note del direttore Massimo Cioffi – ritengono che tutto sia stato fatto nel miglior modo possibile: data la complessità della materia, le norme europee Sepa sui bonifici e l’onerosità di servizi come il recupero dei pagamenti post mortem, non si poteva fare altrimenti. Non la pensa così, però, il Collegio sindacale, cioè l’organo che “vigila sull’osservanza della legge e sulla regolarità contabile dell’Istituto”. Come si può leggere sul sito dell’Inps, in ben quattro occasioni nel solo 2015, i sindaci hanno sollevato critiche alla gestione dei “pagamenti delle rate di pensione”: l’unicità del servizio, che giustifica la procedura negoziata senza gara, “risulta contraddetta dall’attivazione di ben 32 aggiudicazioni”. E ancora: “Assenza di programmazione, mancata informazione degli organi e un iter tortuoso nella scelta degli strumenti con riguardo a tempistica e sovrapposizione degli atti” (il rinnovo del 31 marzo arriva a un giorno della scadenza dei contratti). E poi ci sono le critiche alla durata del servizio affidato ai singoli operatori; alle trattative durate persino 2 anni, durante le quali si sono prorogati gli affidamenti; alla scarsa trasparenza sui costi a consuntivo (cioè quelli davvero sostenuti). Per i vertici Inps, però, è come se non avessero parlato.

di Marco Palombi

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dal Fatto Quotidiano

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